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sappiamo quanto fondate) dei proprietari di cavalli e comandanti di riparti di cavalleria per la sorte toccata alle povere bestie nell'imbarco, nel viaggio e nello sbarco; non ostante ciò, sembra che le malattie abbiano risparmiato più i cavalli che gli uomini, forse appunto perchè i foraggi erano buoni mentre i viveri non lo erano. Sulla fine di maggio si distribuirono agli ufficiali i cavalli di favore comprati a Costantinopoli. Pochi ufficiali furono contenti del favore a causa del prezzo.

Quanto a vestiario, bisogna credere che tutto andasse bene, perchè non se ne parla; conviene però notare che si era in piena estate e, di regola, non si facevano marce nè manovre.

Abbastanza gravoso, per il numero piuttosto grande di truppe comandatevi e per la puntualità che si esigeva, era il servizio di avamposti. Ivi non si avevano nè cucine nè tende; pattuglie di giorno e di notte perlustravano il fronte; qualche volta nell'oscurità si sentiva un lontano scalpitio di cavalli; erano pattuglie di cosacchi; dapprima si sparavano in direzione del rumore alcune innocue fucilate, poi si trovò ch'era inutile, fors'anche dannoso, e non si sparò più.

Nello stesso tempo il generale La Marmora faceva esplorare dagli ufficiali di stato maggiore il terreno intorno alle nostre posizioni, cercare guadi nei corsi d'acqua, riconoscere le strade più o meno atte al passaggio dell'artiglieria, studiare e indicare con quali lavori e in quanto tempo sarebbero riducibili a tal uso e via dicendo. E ciò tanto a scopo d'istruzione degli ufficiali stessi, quanto in vista di possibili operazioni (1).

Salvo agli avamposti, la parola d'ordine era: non affaticare la truppa, avuto riguardo alle condizioni sanitarie. La vita era noiosa per gli ufficiali; le loro lettere private sono piene di rammarichi, però il loro servizio era inappuntabile. I soldati non si mostravano malcontenti: con un vitto migliore e senza lo spettacolo giornaliero di qualche caso di colera fulminante, sarebbero stati allegri. Alla sera, fino all' ora del silenzio, si cantava in tutti i campi a squarciagola.

(1) Si trova, a questo proposito, una relazione del capo di stato maggiore A. Casanova ed altre molte di diversi ufficiali.

Non si poteva uscire dagli accampamenti senza permesso, ma gli ufficiali l'ottenevano facilmente e ne profittavano per visitare i campi degli alleati.

Come abbiamo detto fin dal principio, la famigliarità si stabiliva presto coi francesi, più difficilmente cogli inglesi ed anche più coi turchi: questa era gente che « consolava a vederla perchè stava peggio di noi. » Però, con tutte le apparenze della miseria, doveva avere qualche cosa che ispirava simpatia o almeno rispetto, perchè non troviamo a loro riguardo una parola di disprezzo.

In qualche luogo è notata la bontà dei nostri soldati verso i loro cameråta turchi: forse, quando potevano, trovandosi vicini in pattuglia, regalavano ad essi, anzichè gettarla via, la carne salata. Gl' inglesi, invece, facevano regali a noi ed erano ben altri regali: liquori e tabacco eccellente. Se n'era riconoscenti, ma il ricevere questi favori, che rifiutare non si potevano e restituire nemmeno, urtava il sentimento degli ufficiali. Nel diario di uno di essi, sotto la data dell'11 giugno si legge: « Gl'inglesi ci tengono come loro pupilli. Ogni tanto vogliono regalare qualche cosa. Oggi è una grossa partita di tabacco di Virginia che viene distribuita alla truppa di bassa forza » (1).

Talvolta alla domenica si riuniva tutto il corpo di spedizione per la messa, a cui teneva dietro la parata. Assistevano alla nostra funzione religiosa non solo ufficiali francesi dello stesso culto, ma inglesi, protestanti ed anche turchi. La cosa meravigliava molti e fu notata dallo stesso La Marmora. Pare che negli accampamenti lontani, in condizioni simili a quelle, il sentimento religioso si elevi al disopra della differenza di culto.

Dopo la messa, si faceva qualche movimento di truppa e poi si sfilava in parata. La musica dei granatieri (unica del corpo di spedizione) suonava marce nazionali. Si passava una mattinata allegra, perchè ridestava vecchie memorie ed era differente dalle altre.

(1) G. F. CERESA DI BONVILLARET. ·Diario della campagna di Crimea. Torino-Roma. Editore Roux.

Di tanto in tanto, a rompere la monotonia, giungeva pure l'annunzio di qualche fatto d'armi con risultato favorevole agli alleati; così il 27 maggio, un ordine del giorno del generale in capo portava a conoscenza del corpo di spedizione « l'esito felice ottenuto dai valorosi nostri alleati colla spedizione da essi intrapresa contro Kertch. »

Era partita dall'altipiano di Sebastopoli il 21 maggio e si componeva di 7000 francesi, 3000 inglesi e 6000 turchi. Queste truppe montate su navi francesi ed inglesi, s'erano trovate, il 24, all'entrata dello stretto di Kertch, difeso da una piccola fortezza presso la quale i russi avevano grandi magazzini. Il comandante russo, non sentendosi abbastanza in forze per impedire uno sbarco, aveva inchiodato i cannoni, messo fuoco ai magazzini è s'era ritirato. Grandi approvvigionamenti erano rimasti preda delle fiamme, ma una buona parte ne era restata pure agli alleati. Questi ora avevano inoltre aperta l'entrata nel mare di Azof, cosa che poteva riuscir utile per operazioni future.

Questi annunzi di successi, a cui non si aveva avuto parte, ottenuti in operazioni di cui non si comprendeva lo scopo, lasciavano molto freddi i nostri ufficiali e soldati.

XIII.

Ricognizioni del 31 maggio e del 3 giugno.

Gli alleati restarono fermi qualche giorno nelle posizioni prese il 25 maggio sulla nuova linea d'osservazione. Davanti a Sebastopoli continuavano i lavori d'assedio, ma senza molta alacrità. Si era incerti sul da farsi. Il generale Pélissier voleva tentare un altro colpo contro la piazza; ma i suoi colleghi non erano d'accordo sulla convenienza del tentativo; anche meno sulle particolarità dell' esecuzione. La spedizione di Kertch, quantunque pienamente riuscita, non aveva soddisfatto l'amor proprio. Si voleva una vittoria e si aveva avuto,

senza colpo ferire, una fortezza abbandonata e dei magazzini in fiamme. Per non restare in ozio, per tenere in rispetto i russi e fors' anche per vedere se fosse possibile trovare una buona strada per attaccarli nelle loro posizioni sulla Belbek, ovvero indurli ad abbandonarle, si ricominciarono le ricognizioni.

Il 30 maggio, il generale Pélissier avvertiva lord Raglan, comandante in capo del corpo inglese, che il generale Morris aveva assunto il comando delle truppe francesi sulla linea della Cernaia, e nella stessa lettera soggiungeva :

« ..... accadrà sovente che il generale Morris si trovi ingaggiato in qualche avvisaglia di avamposti. In tale ipotesi vi prego d'invitare il generale La Marmora a rispondere alle domande d'appoggio che il generale Morris potrebbe fargli. Da parte mia, prevedendo che il generale La Marmora potrebbe egli stesso avere bisogno del generale Morris, ordino a questi che si faccia premura di dare, in ogni caso, al comandante in capo del corpo sardo, l'appoggio più completo che questi possa domandare. »

Tra il generale La Marmora e il generale Morris si stabilirono subito i più cordiali rapporti; quest'ultimo, appena assunto il comando, si affrettò di darne avviso al generale La Marmora e, in pari tempo, richiederlo del suo concorso per una operazione da farsi nella stessa notte, come apparisce da questa lettera in data del 31 maggio.

<< Mio caro generale,

<< Ho l'onore di prevenirvi in segreto che questa notte faccio un tentativo sulla batteria russa della Bilboquet, davanti il mio fronte, e che voi potreste far partire, nello stesso tempo, tre compagnie di bersaglieri nella direzione del posto cosacco, che dalle vostre posizioni vedete sopra Ciorgun.

<< Per tal modo voi favorirete singolarmente la mia operazione.

« Le tre compagnie, partendo alle 11 di sera, potrebbero rimontare in silenzio il burrone che conduce a quel posto, giungervi e sorprendere il nemico; attendere in seguito il rumore dei colpi sulla loro sinistra per ripiegarsi su Ciorgun e tornare all'accampamento. >>

In seguito a questa lettera, il generale La Marmora diede tosto le disposizioni perchè una piccola colonna appoggiasse l'operazione di cui gli aveva parlato il generale Morris.

Composero questa colonna il 1° battaglione del 4° reggimento, il 1" del 5° e 3 compagnie del 2° battaglione bersaglieri (1).

Queste truppe si posero in marcia poco prima di mezzanotte, passarono la Cernaia, si avanzarono pei valloni che s'internano nel versante destro di questo fiume, e giunsero fino al punto indicato, senza vedere il nemico; i cosacchi tenevano qua e là piccoli posti e facevano buona guardia; all'approssimarsi dei nostri, sparavano e sparivano. Le nostre truppe si mantennero sul sito fino alle 4 del mattino, poi tornarono all'accampa

mento.

Dal canto loro i francesi, non avevano fatto molto di più. Senza incontrare neppure essi il nemico, avevano distrutto alcune piccole ridotte già abbandonate dai russi fino dal 25. Della batteria Bilboquet, indicata nella lettera del generale Morris come scopo della ricognizione, non si parla nei rapporti della ricognizione stessa.

Un'altra assai più vasta venne eseguita il 3 giugno, in pieno giorno, dalle nostre truppe in unione alle francesi.

La visita fatta il 25 maggio alla valle del Baidar aveva lasciato il vivo desiderio di spingersi più innanzi nella medesima e prenderne possesso, non fosse altro che per la grande quantità d'erba e frutta che quivi si trovava. Dicevasi che i russi l'avessero sgombrata, nel qual caso, il possesso valea la pena di una marcia; in caso contrario, la ricognizione avrebbe servito a tentare e provocare il nemico, perchè uscisse dalle sue forti posizioni; cosa che pure era negli intenti del comandante francese.

Questa ricognizione ebbe luogo il 3 giugno e vi presero parte forze rilevanti. Essa dapprima era stata ordinata dal quartier generale francese senza il concorso dei piemontesi;

(1) Così dice il Diario: il rapporto del generale La Marmora dice che la ricognizione fu « eseguita da due battaglioni di fanteria e da tre compagnie di bersaglieri ».

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