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nei privati litigi, e quante riforme e contro riforme di sentenze nella scala delle giudiziarie magistrature ! Se poi poniamo mente alle controversie dei popoli, le difficoltà si addoppiano pel difetto di legge positiva e certa a cui raffrontarle, e per le differenti dottrine degli scrittori e contrarie convinzioni politiche sopra molti degli oggetti che vi si riferiscono. Ond' è, che dato pure il fatto nellà sua realtà e posta la questione, ciascun parteggiante trova sul terreno stesso della scienza e nella coscienza pubblica argomenti ed appoggi per vantare giustizia. Poniamo ad esempio una contestata successione al trono, una levata d'armi per la indipendenza da straniera signoria, un provocato e necessario intervento: non è egli vero che il giudizio sulla legittimità di tal guerra dipende dai principii da cui si parte, principii ne' quali è raro l'accordo anche de' più dotti e de' migliori, e certamente discorde la volgare opinione?

E arroge ancora, che le querele internazionali spesso risultano da una serie di atti accumulati e commisti, di reciproche ingiurie e ricambi, provocazioni e vendette, di entità diversa, quando contenuti entro i limiti della incolpata tutela, e quando eccessivi e quindi ingiuriosi, di sorte che in tanta complicazione la luce del diritto ne va intorbidata, e ad ognuno de' contendenti si apprestano buone giustificazioni.

E non vi essendo superiore alcuno con facoltà di sentenziare, la scienza e l'uso si determina alla sospensione del giudizio finchè ne abbia deciso il successo delle armi. Vale a dire, non potendosi pronunciare con certezza e con effetto sulla ingiustizia, si finge che vi sia giustizia, o più propriamente possibilità di giustizia da ambe le parti. Il che tiene anche

luogo di utile provvedimento politico e umanitario, acciocchè sotto pretesto d' ingiusta aggressione dall'un dei lati, la guerra non trascorra ad atrocità sconfinate, e della vittoria non si abusi fino allo sterminio del vinto. Però diciamo guerra legittima, regolare, od anche giusta (bellum justum) quella che nel fatto, senza guardare al suo movente, viene intrapresa e condotta secondo le norme del diritto delle genti, in altre parole prendiamo in vista la sola giustizia estrinseca.

Dopo il fin qui detto non è difficile stabilire lo scopo della guerra. Esso dev'essere primitivamente 'la tutela del diritto o pericolante o leso nelle diverse forme sotto cui la lesione può manifestarsi, e quindi anche in particolare la rimozione degli ostacoli che venissero indebitamente frapposti al suo trionfo, poniamo nell'interno sviluppo degli ordinamenti politici, e in ogni altro legittimo nazionale interesse. Ma nel progresso delle fazioni militari allo scopo primitivo facilmente se ne accostano degli altri secondarii e di occasione, come quello dei compensi alla vittoria con accrescimenti territoriali, di garanzie per l'avvenire mediante indebolimento del nemico, e in generale mediante trattati per altra maniera vantaggiosi al vincitore. Insomma si mira, o devesi mirare, non alla distruzione del nemico, ma a fiaccarne le pretensioni e ridurlo a senno ristabilendo lo stato regolare di una durevole pace (1).

Gli alleati poi e gli ausiliari niente osta che si propongano a scopo un conveniente compenso del

(1) All' adagio antico: «se vuoi la pace, approntati alla guerra può fare riscontro quest'altro: «fa la guerra per riavere la pace. »

l'alleanza e del prestato soccorso in una causa che deve supporsi buona, sia a carico della nazione amica o sia della nemica secondo l'esito della guerra (1).

§ 59. Diritto di guerra: canoni fondamentali:
partizione.

Per nostra buona ventura siamo lontani da que' tempi, nei quali la guerra veniva riguardata quale condizione normale dell'uman genere, palestra ognora aperta ad ostentazione di potenza, al conquisto di popoli e di paesi, a sfogo di feroci e brutali passioni, e glorioso il vincere e soggiogare per quali modi che si potesse. La guerra non si mostra più a' nostri occhi come una serie indefinita di massacri, di devastazioni, di licenze; ma più presto come un duello ordinato fra armati prescelti al combattimento per la propria nazione, vorrei dire una solenne nazionale ordalia retta non solo dai precetti dell'arte per vincere, ma insieme da quelli della lealtà e della morale, da quelli dell'onore, della umanità, della civiltà: non è più un' arte soltanto, ma un regolare, avvegnacchè violento, processo giudiziale. Anche la guerra ha le sue norme e discipline ora sancite nei trattati, or consacrate dagli usi costanti e universali fra gente civile, e scolpite nella popolare coscienza; le proclamano i pubblicisti, e le suggella co' suoi verdetti la storia. L'insieme di queste norme regolatrici degli atti della

(1) Così la Francia per l'alleanza col Re degli Stati Sardi si era pattuita a Plombieres (1859) la cessione di Nizza e Savoia in iscambio del Lombardo-Veneto, che s'intendeva sottrarre alla dominazione austriaca.

guerra in conformità alla retta ragione ed all' interesse della umanità è quello che diciamo diritto di guerra, e nella cui osservanza consiste la giustizia estrinseca (1).

Sublime principio da porre a base del diritto di guerra è quello, che Talleyrand ricordava al primo Napoleone « le nazioni devono farsi nella guerra il minor male possibile, come nella pace il maggior possibile bene (2). Al quale crederei potersi aggiungere quest' altro: gli uomini anche in guerra restano uomini, e conservano i diritti e i doveri dell'uomo. »

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Il diritto segue la guerra in tutti e tre i naturali suoi stadii; nel principio, nell'attualità o durata, nella fine. Il qual ordine suggerito dalla stessa natura della cosa noi seguiremo in questo trattato, considerando distintamente la guerra:

a) nel suo principio ;
b) nella sua attualità;
c) nel suo termine.

(1) Anche i Romani conoscevano un diritto di guerra, ma formolato a loro modo: Vi si richiamava T. Livio affermando: ⚫esse quaedam belli jura, quae ut facere ita pati sit fas.. 11 meglio si riduceva ad un rituale pel cominciamento delle ostilità ma poi durante e finita la guerra il facere era tutto pel vincitore, il pati pel vinto; onde il troppo vero veh! victis.

(2) Questa bella massima è presa da Montesquieu, e Talleyrand la richiamò alla mente di Napoleone in una lettera del 20 novembre, 1806 ne' seguenti termini: «Tre secoli d' incivilimento hanno dato all' Europa un diritto delle genti..., a cui la natura umana non saprebbe mai mostrarsi abbastanza riconoscente. Questo diritto è fondato sul principio, che le nazioni debbono farsi in pace il maggior bene possibile, ed in guerra il minor possibile male.» De Garden, Histoire des traités, t. I, p. 3.

CAPO II.

LA GUERRA NEL SUO PRINCIPIO

§ 60. Chi possa fare legittima guerra.

Sotto l'impero del diritto internazionale, come suona la parola, non cadrebbe veramente se non la guerra fra nazione e nazione. Nondimeno alla nazione in questo riguardo si suole pareggiare anche popoli, o moltitudine di uomini militarmente organizzati e combattenti per uno scopo politico (§ 11). Il che vuol dire, che anche verso di tali l'attuale civiltà impone la osservanza delle leggi della guerra posto che essi pure le osservino. E si richieggono in essi appunto queste tre condizioni :

a) una regolare organizzazione a potenza militare;

b) uno scopo politico, al conseguimento del quale la guerra sia diretta ;

c) l'osservanza delle leggi della guerra anche da parte loro (1).

Quindi. è, che può aversi legittima guerra con un popolo di nessuno o d'instabile domicilio, ma padrone di sè medesimo, e ordinatamente costituito (gli Ebrei nel deserto, i Germani al tempo delle invasioni).

(1) Bluntschli, § 512, n. 1.

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