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rittime provvede, come ho detto, la seconda convenzione 20 M. 1868, fondata sugli stessi principii ai quali sono informate le disposizioni ora riferite; ed applica ai bastimenti destinati all'uso di ospitale, od anche a bastimenti privati che si assumessero il pietoso officio di accogliere e curare naufraghi o feriti, la neutralità ed altri vantaggi con disposizioni analoghe a quelle date per le guerre terrestri (1).

§ 72. Continuazione: prigionieri di guerra;
persone soggette alla prigionia.

L'antichità attribuiva il diritto di vita e di morte sui nemici, che voleva dire su tutti gli appartenenti alla nazione nemica. Qualche eccezione si trova soltanto, ma più di fatto che di diritto, pel caso di resa volontaria di una fortezza con tutto il materiale di guerra in essa contenuto, e di avere implorata ed ottenuta nell'arrendersi la grazia del vincitore. Posto il diritto di torre la vita al vinto, riguardavasi come un benefizio e si usufruttava come un vantaggio il risparmiarlo e ridurlo a servitù, cioè a cosa di altrui proprietà (2). Il barbaro costume durò a lungo anche ne' tempi di mezzo persinò tra popoli fratelli in Cristo, e ci volle un canone del III Concilio ecumenico di Laterano (1179) per vietare ai cristiani, pena la scomunica, di trarre in servitù altri cristiani. Come appare, il benefizio di questo divieto non comprendeva

(1) Confr. Bluntschli, § 592, nota nella traduzione francese di Lardy.

(2) Servi a servando dice il giureconsulto fiorentino.

gl' infedeli, di qual culto che fossero. Lo spirito della cavalleria andava bensì mano mano temperando nella pratica il rigore del diritto: ma spesse volte il furore e la vendetta soffocavano ogni altro sentimento non solo rispetto agli infedeli ma ancora fra cristiani, e si faceva man bassa impunemente sopra chiunque di parte nemica fosse o non armato, opponesse o non resistenza. E sbollita pure la furia degli eccidii, succedeva la cupidigia del lucro a far sì che il vincitore traesse seco il maggior numero possibile di cattivi per negoziarne grossi riscatti. E perchè il riscatto non venisse meno o troppo tardo, si affliggevano con varie maniere di privazioni e mali trattamenti secondo l'umore e il calcolo dell' interesse. Ancora Grozio, e scrittori tanti dopo di lui, e lo stesso Vattel pur così vicino al nostro secolo, o non seppero o non osarono proclamare nella sua pienezza la vera teoria conforme al diritto dell'uomo e a quello dei popoli (1). La pronuncia invece la scienza moderna, e l'accettano ormai quante si danno vanto di nazioni civili.

Or dunque quali persone pel moderno diritto vanno soggette alla prigionia di guerra? Quale trattamento è loro dovuto? Come ha termine la prigionia? Ecco i tre quesiti, ai quali dobbiamo rispondere. Ne diremo separatamente; e qui intanto del primo.

Soggiacciono alla prigionia, ed hanno diritto di essere trattati da prigionieri, tutti i legittimi combattenti sì principali che ausiliari tosto che cessino dalla resistenza e si dieno spontaneamente o cadano per forza in mano del nemico: così per principio generale.

(1) Vattel si tenne pago di chiamare lodevole costume quello di non tradurre in prigionia le donne e i fanciulli (III, 148).

Vi vanno quindi compresi non solo i semplici gregarii, ma insieme gli uffiziali di qualunque grado, persino i sovrani, presidenti, ministri, agenti diplomatici dello Stato nemico, che si trovassero nel campo partecipando alla guerra, come pure i popolani levatisi in armi alla difesa della patria in luoghi non ancora occupati dal vincitore, e sotto le condizioni richieste per poter essere riguardati quali combattenti in buona guerra (§ 60).

Quanto a coloro, che seguono l'armata per altro scopo che quello di combattere (come intendenti, provveditori, giornalisti, corrispondenti) dipenderà dal comandante in capo di rimandarli o trattenerli secondo le militari e politiche esigenze.

Per le persone applicate al servizio spirituale e sanitario ne fu già veduto che cosa dispongano le convenzioni di Ginevra. Ma credo, che rimanga lecito al comandante di obbligarle a rimanere nei casi di necessità, cioè qualora e fino a quando pel grande numero di ammalati e feriti, massimamente se sieno dei loro, si abbia assoluto bisogno della loro assistenza; il che mi sembra potersi dedurre anche dalle espressioni della Convenzione del 1864, la quale dice, che la partenza si dovrà accordare tosto che lo permettano le necessità militari. Nel quale frattempo però esse persone non sarebbero prigioniere, ma neutrali.

Urgenze militari e motivi politici danno facoltà di prendere per ostaggi e come in condizione di prigionieri anche cospicui ed importanti cittadini del paese occupato, quantunque non appartenenti all'armata (§ 42).

§. 73. Come si debbano trattare i prigionieri, e per quali modi abbia termine la prigionia.

I. Prigionia di guerra non è pena nè schiavitù, sibbene semplicemente precauzione e difesa. Da un lato parla il diritto di ritenere presso di sè in sicurtà quella porzione di forza, che avvenne di sottrarre al nemico; dall'altro il dovere di usar modi confacenti alla dignità di uomini, ed alla relativa condizione e grado militare e sociale di ciascuno dei ritenuti, senza poi dire dell'interesse reciproco di non provocare con indebiti rigori giuste rappresaglie.

Da questi principii generalmente accettati nel moderno diritto de' popoli civili si derivano le norme speciali pel trattamento da usare ai prigionieri.

Verso i Sovrani e membri della famiglia regnante come altresì verso i Principi stranieri, che abbiano militato nel campo nemico, si mantengono i riguardi dovuti all'alto loro grado così quanto al luogo di detenzione, come ad ogni altra cosa, che ha tratto ai bisogni della vita (1).

Agli uffiziali si suole concedere qualche libertà di movimento e di azione entro certi confini fuori dell'abitazione loro assegnata sotto la parola d'onore di non darsi alla fuga. La parola dev'essere data formalmente e registrata a protocollo (2).

(1) Gli scrittori parlano soltanto di Sovrani e Principi, ma credo doversi dire lo stesso dei Presidenti delle repubbliche e in generale dei Capi degli Stati.

(2) Gli uffiziali nell'arrendersi devono rassegnare la spada, la quale può venire loro ritornata in ricognizione del valore di

I sotto uffiziali e semplici soldati vengono guardati più strettamente in castelli, o altri luoghi sicuri, possibilmente lungi dalle frontiere e dal loro esercito. Dipenderà dal numero e dalla condotta loro l'ottenerne più o meno di libertà, a misura della fiducia che sapranno inspirare. Ma in nessun caso si deve lasciarli esposti alle ingiurie ed ai dilegi della plebe, e molto meno a maltrattamenti corporali per arbitrio di chicchessia.

Ad ognuno corre obbligo di onore di dichiarare il grado che teneva nell'armata, e sarebbe atto punibile l'attribuirsi un grado maggiore oppure minore del vero sia per ottenere migliore trattamento o sia per diminuire il prezzo del riscatto.

Al conveniente mantenimento per quelli, che non abbiano mezzi proprii, provvede infrattanto lo Stato che li detiene. In compenso però esso ha diritto di occuparli in lavori adattati alla relativa condizione e abilità, e il più delle spese mettere poscia a conto nel trattato di pace. Costringerli a pigliare le armi nella guerra è vietato, ma non così l'impiegarli in opere di fortificazioni ed armamenti. Possono ricevere soccorsi in danaro ed in oggetti di vitto e vestito dalla famiglia o da chi altri ve ne spedisca, sempre pel mezzo delle autorità militari competenti o delle persone a ciò delegate. Colle medesime cautele a discre

cui diedero prova o di altra bella azione: ma portarla non è permesso durante la prigionia.

Saggia è la disposizione dell'art. 820 nel Codice di Dudley Field. «Quando una parola viene data e ricevuta vi dev'essere lo scambio di due documenti, nei quali i nomi e la condizione della persona obbligata sieno accuratamente e con verità indicati.

Le liste esatte di tutte le persone impegnate sopra parola debbono essere conservate dai belligeranti. »

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