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PREFAZIONE

A cio mi mossi per lo natural amore della
propria loquela.
DANTE. Convit: T. I. Cap. X.

Prima di dar spiegazione del modo adoperato nella compilazione di questo vocabolario, mi pare opportuno far conoscere le ragioni che mi mossero a questo lavoro, essendochè non v'è cosa che abbia qualche apparenza di rilevanza, di cui non s'ami saperne l'origine.

Che ciascun paese abbia il suo vocabolario è cosa importantissima, e gli odierni studi filologici ne fanno richiamo, siccome dalla comparazione de' diversi dialetti trovano la fonte per riconoscere e rannodare le grandi famiglie delle nazioni.

Quanto poi sia necessario che ciascun paese abbia il suo vocabolario, acciò possa servire al bisogno di chi studia e di chi insegna nelle rispettive scuole, sia per trovarvi l'esatta corrispondenza de' vocaboli italiani, e più ancora delle infinite maniere di dire d'ogni dialetto, le quali spesso lasciano al momento interdetto anche i più esperti nella lingua della nazione, è argomento che può essere da ognuno conosciuto.

E già Venezia era fatta ricca di vocabolario, per Giuseppe Boezio, a Milano lo dava il Cherubini, a Parma Ilario Peschieri, a Brescia Pietro Melchiori, a Piacenza Lorenzo Foresti, Gaspare Patriarchi a Padova, Parru e Spano alla Sardegna, Pasqualino, Mortillaro, e per ultimo Traina dava alla Sicilia un ben ordinato e finito lavoro, e Verona e Faenza, ed altri paesi ancora della nostra penisola facevan mostra di vocabolari, ed altri sorgevano in bella gara, superbi di avere chi sostenesse anche in questa parte il loro decoro.

Ma Bologna che fu chiamata da secoli La madre degli studi, La dotta, La grassa, sia per la fertilità del suolo che occupa, sia per la sua agricoltura e il suo commercio e per quella sede di studi alla quale i più grandi ingegni italiani e stranieri concorsero a perfezionarsi nelle scienze, fra tanti suoi figliuoli che si acquistarono gloriosa fama sia nelle scienze come nelle arti, niuno vi fu, che si dedicasse a conservare la lingua di sì cara madre. Questa nobile città si può dire era priva di un vocabolario se ben si osservi alla pochezza di quelli che possedeva, de' quali il maggiore è quello di CLAUDIO ERMANNO FERRARI, e che questo pure sia mancante, lo dichiara l'autore istesso nella sua breve prefazione alla seconda edizione con queste parole: «Sembrerà forse a taluno che tanto corso d'anni sia stato bastante a dar finitezza all' opera in maniera da non averne a desiderare più oltre, ma pur ben vi sarebbe di che occuparsi per lungo spazio chè la materia è inesauribile nè ci arriverei più mai a capo ».

« E questo fia suggel ch'ogni uom sganni ›.

Il bisogno di avere un vocabolario per le addotte ragioni, e un amorevole desiderio di non volere il mio paese indietro dagli altri, mi mosse a questo lavoro, il quale io ben teneva per arduo e faticoso, ma non quanto l'esperienza me l'ha addimostrato; talchè se una costante fermezza non avesse sostenuta la buona volontà, sarei caduta dietro sì lungo e spinoso cammino, nel quale più volte mi sono sentita l'animo sgomentato.

Formai adunque idea di compilare' un vocabolario, che al possibile racchiudesse in sè tutto il nostro dialetto; di un vocabolario cioè, che non solo facesse tesoro delle voci, ma ancora di proverbi e moteggi, non che di nostre maniere di dire, facendo così conoscere il maneggio di certi costrutti, il reggimento de' verbi, degli aggettivi, che danno per così dire, una fisonomia tutta propria a ciascuna lingua: di un vocabolario insomma, che come ho detto, facesse passo allo studioso nell'italiano. E quantunque io sappia che dal vocabolario non s' impara l'arte di scrivere, però se vi si cercherà con discernimento, contenendo esso voci e maniere d'ogni sorta illustri, basse, serie, bernesche, potrà chi lo maneggi trarne gran frutto.

Nessuno creda però ch' io mi dia vanto d' aver raggiunto lo scopo prefisso, chè anzi ripeterò col SALVINI « I vocabolari non sono mai perfetti, e sempre ci è da osservare, da levare, da aggiungere, da mutare »

E questa savissima sentenza tanto più varrà per il mio lavoro, nato in mezzo alle cure della famiglia e accresciuto dal poco mio ingegno, solo dirò ch'egli, qualunque ei sia, venne fatto tutto da me con quel fermo volere, di cui se ne dubita la donna essere capace.

Benchè io sia bolognese e mi sappia in possesso del mio dialetto, pure mi posi sovente in mezzo a volgari persone per sentire della viva parola, quanto potesse giovare al mio scopo, e sempre raccogliendo e notando, e ciò non feci solo nel dar principio al lavoro, quanto ancora nel seguito e sempre, come lo manifesta l'opera istessa, la quale piuttosto s' accresce coll' avvanzare.

E non fu solo nel popolo, che tengo per il vero custode d'una lingua ch'io cercai quanto mi era necessario, lessi vari scrittori di dialetto bolognese, antichi e moderni traendone tutto quello che mi pareva degno d'esser notato. Ma da questa lettura mi si accrebbe quella tale ripugnanza sempre sentita in animo contro il modo di scrivere tanto diversamente dal modo con cui si parla; la qual cosa rende difficile la lettura, incerta la pronunzia e dubbia l' interpretazione.

Le passate ortografie bolognesi erano andate soggette a diversi cambiamenti. Nelle prime vi si vede lo sforzo per ridurre le parole più distese e assai italianizzate, di modochè il dialetto perde il suo vero carattere, è la lingua parlata mal sarebbe intesa da chi solo comprendesse la scritta. Venendo avanti fino a noi, vi troviamo per lo contrario lo sforzo per ridurre la scrittura accosta alla pronunzia. Il FERRARI ancora rivolse l'occhio all' ortografia e vi portò qualche modificazione, la quale, quantunque minima in riguardo a quel tanto che sarebbe occorso, vale però a far conoscere che questo autore ancora era informato del giusto concetto di dover scrivere come si parla. Che l'ortografiia sia stata finora convenzionale non solo nel nostro dialetto, ma ancora in diversi altri, è un fatto di cui ci fanno accorti i moderni studi filologici, ne' quali la parte fonica si fa andare avanti alla parte grammaticale, propriamente detta finora; ed è avvenuto dall' avere gli scrittori in dialetto italianizzato il dialetto nel quale hanno scritto tramutando la parlata del popolo, eterno conservatore della lingua, in una parlata, direi più civile e più accosta all' italiano, come ho detto dissopra.

Ben è vero che la pronunzia di un dialetto presenta alla scrittura immense difficoltà, per la contrazione delle voci e per le molte gradazioni di suoni, che volendoli pure far comprendere, pare non ti bastino le lettere dell' intero alfabeto italiano, ovvero sembra che desse non corrispondano a que' suoni or cupi, or aperti, ed ora così misti e indefiniti da lasciar dubbio a quale delle vocali appartengono, od a qual gruppo di consonanti li puoi legare.

Ma d'altra parte, se la scrittura d'un dialetto non sarà intesa da chi non sia dello stesso paese, colla scrittura il dialetto istesso non sarà che male interpretato, il che sarà dannoso alla conservazione d' una lingua, che per mantenersi ricordata deve farsi nota per la scrittura presso qualunque popolo.

Trovare perciò un' ortografia che rendesse facile la lettura, e più che sia possibile giusto il suono della pronunzia; toglierle i segni convenzionali per quanto si può

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i quali impediscono, massime a chi non sia del paese, non solo di poter leggere la scrittura come si conviene, ma di poterla comprendere, mi parve argomento degno di attenzione e di studio, al quale dovessi dedicarmi prima di por mano al mio lavoro.

Dopo molte e lunghe prove mi sembrò d' aver raggiunto l'intento. Vari brani di scrittura bolognese regolata dalla mia nuova ortografia, diedi a scorrere a persone del paese ed estranee, e intesi con mio grande contento, leggere le parole con facilità, e pronunziarle come escono dalla bocca del popolo, nel quale colla pronunzia ho cercato la lingua.

I segni convenzionali indispensabilmente rimasti in quest' ortografia, sottoposi ad un' ordinata regola, che si vede più avanti nell' introduzione alla grammatica, con quelle spiegazioni necessarie e chiare à lasciarsi capire da chiunque amasse leggere e comprendere il nostro dialetto.

Ma questa prima fatica, m' era cagione di altra. Il variare dell' ortografia aveva sconvolto tutto l'ordine delle voci, secondo gli antecedenti vocabolari, dimodochè restai affatto senza nessuna guida: p. e. I vocaboli comincianti in Ds, molti sono stati trasportati al G'n, al C'p, come G'nar, invece di Dsnar, C'pèt, in luogo di Dspèt, Pcot, piuttosto che Bcot, e simili, e ciò per stare alla vera pronunzia volgare, e non a quella de' civili che molto si attiene all' italiano.

Convinta del buon successo della mia ortografia non pertanto mi restava a temerne il giudizio del pubblico, ch'è di non facile contentatura, massime allorchè si vuole rimosso da antiche usanze. E pensai di presentarne un saggio alla Commissione di Storia Patria, dalla quale n' ebbi un ampissimo voto, che mi diede coraggio a proseguire.

Questo lato adunque fu superato, ma ben altri rimanevano a tenermi in dubbio. La forma, era pure un argomento per me di molta considerazione e difficoltà. Nell' intendimento di rendere questo vocabolario di utilità a' miei concittadini, e massime, come da prima ho detto, a quelli che studiano ed a quelli che insegnano, era mestieri che la corrispondenza italiana vi fosse esatta, chiara e bastantemente distesa tanto per le voci, quanto per ogni maniera di dire, e locuzioni e proverbi, che contenesse. E ciò rispondeva ancora all' altro scopo, cioè di renderlo il conservatore fedele del nostro idioma, prendendo esso ad interprete la lingua della nazione conosciuta e compresa presso qualunque popolo civile, Ma questa necessità che appariva alla mia mente dal concetto che se n' era formata, non era intesa da taluno, ma anzi contrastata dal malfondato principio che, un vocabolario di un dialetto non abbisogni di estensione. Altri confortavano la mia idea, ed io tutta sola al decidere se accontentar o questi o quelli mentre avrei pur voluto l' approvazione di tutti, mi teneva in amara perplessità, che più volte mi spinse per un momento ad abbandonare l'impresa,

<< Che fu nel cominciar cotanto tosta >.

Ma presto tornata in me, e pensando essere inutile speranza, il poter raccogliere e riunire in una sola le diverse è disparate opinioni, chiusi gli orecchi tenendomi quella voce che sempre mi sussurava in animo « raccogli tutto, e spiega largamente tutto,» andai avanti a dar cominciamento al mio lavoro a cui mi diedi poi con austere cure per lunghi anni.

Presi ad esaminare più accuratamente i precedenti vocabolari bolognesi, e più mi confermai in ciò che di essi ho detto, senza dirne di più. Se il mio lavoro avesse preso forma e ingrandimento da essi, mi parebbe solo allora opportuno notarne i difetti, e le correzioni fattevi insieme alle aggiunte; ma siccome la mia opera non prese affatto a riformarsi su quelli, nè a seguirli, ma crebbe tutta da sè, così la critica dell' altrui operato non gioverebbe nè a far tenere per migliore il mio lavoro, nè eziandio a scusarlo di quegli errori, da' quali purtroppo non andrà salvo.

Mi circondai de migliori vocabolari italiani, e ne studiai le forme, le definizioni, le quali avrei voluto ridurre, conservando la chiarezza, a un dir molto semplice e breve da potersi appunto confare a un vocabolario per cui la troppa estensione non conveniva. Da quale di quelli io abbia tratto fondamento, e quale mi abbia più giovato nol saprei dire, ma sibbene so che dessi mi furono guida e conforto.

Entrata nel lavoro cercai mantenere con fedele osservanza il mio principio, quello cioè di renderlo profittevole a chi studia, e perciò mi diedi a notare nell' italiano le voci antiche e disusate, ponendo sott' occhio le più facili e non ricercate da seguire.

Nè tralasciai di rilevare le voci dell' uso assolutamente vietate, siccome inutili, avendone l'italiano ben altre equivalenti e pregievoli da sostituire, da quelle che l'uso istesso oramai conferma e la lingua presto o tardi accetterà quali figliole, siccome nate in casa propria e create dal bisogno di nuove denominazioni. Per tal modo si arricchirono le lingue, nate povere e semplici, a seconda che gli uomini sono stati più o meno industriosi e sapienti. L'uso, dice il DAVANZATI « Essere il messere delle lingue ». Qualche volta ancora mi trattenni su certe voci o messe in dubbio di buone o di difficile spiegazione, e sempre all'intento di far andar sicuro chi studia nello scrivere. Per la qual cosa procurai di far rilevare anche i francesismi, che spesso non si danno a conoscere se non a chi abbia bastante profondità di studio nell'italiano, ed entrano a contaminare la nostra ammirabile favella, la quale per la grazia, la forza e l'armonia che possiede, è tenuta in pregio dalle più colte nazioni, presso le quali se non per bisogno, per genialità di studio s' impara a conoscere e a parlare.

Alle maniere di dire fissai pure l'attenzione, formando esse una delle parti principali da cui spicca il carattere e l' indole d' un dialetto; ed avrei voluto fossero trasportate in italiano per modo, che non perdessero nè della loro grazia, nè della loro vivacità. Le maniere toscane mi prestarono spesso conforto, e quando le trovai nette nette corrispondenti alle bolognesi, le citai non solo per darle a modello, ma per addimostrare ancora come le nostre diano la mano a quelle.

Tutti questi lati non furono i soli a cui si sentiva spinto il mio pensiero. Una certa vaghezza mi attirava a penetrare nell' etimologia, a cui molte volte c' incalza la curiosità, ed altra lo studio; ma questo campo così vasto e difficile, questo oscuro abisso, anzi dirò, compresi che non poteva esser vinto dalle mie forze. Dare spiegazione della provenienza d' ogni vocabolo, per quello che il proprio ingegno o la fantasia d'ognuno possa indicare, e cosa fac le, ma che spesso conduce a dir cose si strane e sbardellate da muovere più il riso che l'ammirazione, e giovare più a confondere che a dar aiuto a chi studia parte così importante di una lingua. Abbandonai quindi la difficoltosa impresa, non togliendo però dalla mia mente l'idea di adoperarmi anche a ciò, allorchè mi fossi potuta dedicare a quegli studi necessari che m'avessero condotta con esattezza di giudizi, a dar luce giovevole all' interpretazione di simili ricerche. E solo quando potei o dal francese, o dal tedesco, o dallo spagnuolo riconoscere la derivazione di qualche vocabolo, non trascurai di accennarlo, come si vede or qua or la nel corso dell' opera, ma questi non sono che pochi fiori sparsi in un campo di spine. Il dialetto bolognese va pieno di voci straniere, tristo ricordo di quegli uomini di diverse lingue, che in tempi remotissimi invasero da ogni lato

Il bel paese

Che appenin parte e 'l mar circonda e l'alpe ».

I quali poi si fermarono, dove la fertilità del suolo e la bontà dell' aria maggiormente gl' invitava.

E Bologna fu appunto uno di questi luoghi, per isventura bellissimi, che andò soggetto a tante invasioni. L'orig ne di questa nobile città, che prima fu chiamata Felsina, poi Bojona e finalmente Bologna, si confonde nel buio del tempo; certo è anteriore all' invasione de' Galli. Forse la fondarono gli Etruschi, che per quasi trecento anni occuparono in gran parte la nostra penisola. I Romani se ne impossessarono dopo la seconda guerra Punica. Le fazioni de' Guelfi e de' Ghibellini la molestarono più volte. I Lambertazzi e i Geremei, poi i Pepoli e i Bentivoglio ne furono prepotenti signori, i quali contrastandosene il possedimento la tennero in continue discordie fraterne. Finalmente Papa Giuglio II, che volle esteso il suo dominio in tutta la romagna, forzò Giovanni Bentivoglio a riparare in Milano, e caduta in mano del papato divenne capo-luogo di una legazione. La sua istoria racchiude quella di tutta la provincia che l'è soggetta. Ma benchè nata in mezzo a' barbari, e soggetta a tante crudeli oppressioni, a tante e si fiere lotte, il suo popolo crebbe e si mantenne d' un indole dolce e gentilissima, assai industrioso e passionato allo studio delle arti e delle scienze, atto alle grandi imprese ed amantissimo della gloria.

La sua lingua, fedele espressione di chi la parla, per la dolcezza e vivacità fu encomiata da molti illustri uomini. Uno scrittore fu che disse « I preghi alla bolognese hanno potenza di forzare amorevolissimamente gli affetti altrui.

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