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Diritto Internazionale respingano come erronee le teorie di Grozio, è indubitato che al suo tempo egli ha dato un potente impulso allo studio della giurisprudenza, ha separato recisamente il Diritto Naturale dalla Teologia e per quanto riguarda il Diritto delle Genti, ha quantomeno contribuito ad edificarne l'organico ordinamento. Epperò sotto questo aspetto la posterità pronuncia con riverenza il nome dell' illustre pubblicista e con ciò attesta come non andasse errato il gran re Enrico IV di Francia, allora quando essendogli presentato alla Corte il Grozio, allora giovanissimo, esclamava: Voilà le miracle de la Hollande! (1).

(1) Parmi che sia pregio dell'opera il riportare il giudizio che l'illustre Mancini diede dell'opera del Grozio, nella sua prolusione agli studi dell'Università di Roma pel 1874. - «La grand'opera Groziana ha avuto numerosi ciechi ammiratori, ma forse insino ad ora non ha trovato un critico diligente ed imparziale. Le angustie dell'ora non consentono a noi che brevi e precipue osservazioni, quasi saggio di una critica più ampia e profonda.

<< Lasciamo da parte l'ordine vizioso nella distribuzione del lavoro, perchè in un trattato sul diritto della guerra egli introduce qua e là le teoriche fondamentali della disciplina del Diritto Naturale sotto forma di lunghe digressioni legate solo accidentalmente al sistema, come ne offre esempio nel secondo libro sulle cause della guerra, dove per essersi dichiarata causa legittima di guerra la difesa delle proprie cose, lo scrittore passa ad esporre in non meno di quindici capi tutte le teorie del Diritto Naturale sulla proprietà, sui modi di acquisizione originari e derivativi della medesima e sulla materia dei contratti.

<< Non mancò al Grozio una chiara nozione del Diritto facendolo consistere nella conformità delle azioni con la natura razionale sociale dell'uomo. Ma nel suo sistema il principio razionalista rimane tosto abbandonato ed affatto sterile di applicazione, cedendo il posto all'altro erroneo criterio che fa ritenere dal Grozio come prova unica e sufficiente della giustizia ed ingiustizia delle azioni le usanze invalse fra i popoli, che suppone effetto di una causa generale, le sentenze dei romani giureconsulti e l'opinione dei filosofi, dei poeti e dei dotti. Del qual metodo sono palesi i difetti, imperocchè per esso il fatto si confonde col diritto, la giustizia si scambia con l'opinione, quando fin dai suoi tempi Cicerone aveva avvertito, non opinione, sed natura constitutum esse jus; il dovere giuridico si fa riposare soltanto sopra un fondamento subiettivo e la legge naturale viene condannata ad inevitabili contraddizioni ed a perenne mutabilità.

<< Presuppone il Grozio cosa reale la chimera di uno stato di natura od extrasociale dell'uomo, sicchè nel suo sistema ogni obbligazione deriva ex consensu, ed anche lo Stato ottiene la sua autorità dal contratto; errore capitale della dottrina Groziana, che basterebbe a farla rigettare, come ha fatto

§ 69. Oltre il libro De jure belli ac pacis, pubblicò il Grozio un trattato sulla libertà dei mari che egli intitolò Mare Liberum, nel quale sostenne a favore degli Olandesi il diritto di navigare liberamente nei mari delle Indie Orientali.

In opposizione al libro del Grozio altro ne pubblicò Giovanni Seldeno vissuto nella stessa epoca, intitolato Mare Clausum, nel quale pretese sostenere che l'alto mare può divenire proprietà di qualche Stato. Le stranezze asserite in questo libro ed i paradossi sostenuti lo fecero dal Troplong chiamare libro spregevole, capolavoro di ridicolaggini, di bassezze e dotte frascherie; ma ciò che fa più meraviglia si è come la ragione di Stato abbia potuto far

rigettare quella del Rousseau, mentre questi non fece che copiarla e vestire l'identica dottrina di una forma seducente, dappoichè l'uno come l'altro disconoscono l'esistenza di diritti essenziali inerenti alla personalità umana ed a quella delle nazioni, che le convenzioni ed il consenso non possono nè creare nè distruggere.

<< Da codesti erronei principî si deducono false ed illiberali conseguenze. È legittima la schiavitù, perchè riconosciuta dagli usi e dal consenso dei popoli, e Grozio trascorre fino a concedere il diritto di vita e di morte sullo schiavo. Nella famiglia esagera l'autorità paterna e maritale e difende i diritti di primogenitura. Discorrendo della natura ed origine della sovranità, ammette che essa risieda nella nazione allorchè esistano leggi fondamentali che limitano la podestà del Principe; ma dove tali garantie non esistono, o il popolo si è sottomesso senza condizioni, il regno è patrimoniale, e quindi il territorio e la Nazione stessa sono patrimonio del Sovrano. Questa mostruosa teoria Groziana dei Regni patrimoniali meritò giuste e severe censure fino nei tempi a lui vicini dal Puffendorfio e da altri pubblicisti, e non può che scandalezzare i moderni.

<< Il Grozio non dubita, applicando il Diritto Romano, della legittimità della conquista dei territori dei popoli vinti, pareggiandola ad una dedizione senza patti.

«Nei Regni patrimoniali egli parimenti approva l'alienazione e cessione volontaria di territori consentita dal solo Principe, senza alcun bisogno di assentimento della Nazione o dei popoli ceduti. Le Nazioni che trovansi poste sotto la dominazione straniera per effetto della conquista o di trattati non possono far guerra per rivendicarsi in libertà e per ricuperare la nazionale indipendenza; così i generosi sforzi delle Fiandre per sottrarsi all'odiato giogo di Filippo II, ed il sorgere dei nuovi Stati dell'America del nord, della Grecia, del Belgio, dell'Italia, sarebbero per lui altrettante violazioni del diritto delle genti.

approvare siffatto libro dalla Corte dell'Ammiragliato Inglese sotto Giacomo I, e come Carlo I durante la questione avuta al riguardo coll'Olanda, che sosteneva la libertà dei mari, ne abbia potuto ordinare la pubblicazione.

« L'ampia estensione che il Grozio attribuisce al diritto di guerra eccede ogni tollerabile misura: egli cade nell'errore di attribuire ad ogni Nazione un vero diritto di punire le altre inosservanti della morale e della giustizia; contro il principio dell'eguaglianza ed indipendenza degli Stati, ammette il concetto d'una guerra punitiva con tutti gli orrori dell'applicazione del principio di espiazione ai rapporti internazionali, e col funesto effetto di dar colore e pretesto di legittimità ad un sistematico intervento dei più potenti Stati nella vita interna dei minori.

<< Eccessiva è l'autorità che egli concede ai belligeranti nei loro reciproci rapporti; diritto di uccidere ogni persona della Nazione nemica, ancorchè estranea alle armate combattenti, inerme ed inoffensiva, anche le donne ed i fanciulli, anche i prigionieri di guerra; diritto di devastare e saccheggiare le proprietà; diritto di far botttino delle private ricchezze; diritto di cattura e di preda; la proprietà generale dei beni dei vinti può pretendersi che passi nel vincitore.

«Ma lo scrittore atterrito egli stesso da queste conclusioni consacra gli ultimi capitoli della sua opera a dimostrare che le Nazioni ed i Governi hanno tuttavia un dovere, non però giuridico, bensì etico e del foro interno della coscienza, di temperare con usanze più miti ed umane l'esercizio di questo diritto di guerra, che secondo lui scaturirebbe dal sommo rigore del Diritto delle Genti, e che egli è indotto a reputare legittimo per la pratica secolare dei popoli e le testimonianze concordi degli scrittori di tutte le età. Ciò mostra che al Grozio si debbono imputare errori d'intelletto e di scienza, servile bassezza d'animo, come ebbe a sospettare il Rousseau.

<< Conchiudendo, non può niegarsi a questo insigne pubblicista un gran merito verso la scienza del Diritto Internazionale, quello di averla strettamente ed inseparabilmente legata al Diritto Naturale, di averne ampliata l'esistenza ed edificato l'organico ordinamento, dietro la scorta dell'Italiano Alberico Gentili, intelletto più forte e liberale del suo, di avere infine contribuito con la potenza ed autorità della sua paiola ad introdurre fin dal suo secolo nelle pratiche della guerra una mitigazione ed una serie di umani temperamenti, benchè egli non avesse ciò raccomandato altrimenti, che come un dovere morale di coscienza. Ma la inesattezza dei suoi principî scientifici, la sanzione da lui data nei termini di stretto diritto agli abusi della forza invalsi e praticati insino ai suoi tempi, e l'impotenza della sua teoria giuridica fondata sulla onnipotenza del consenso ad ogni opera riformatrice, prepararono gli erramenti, nei quali all'ombra ed all'autorità del suo nome la scienza si aggirò nei secoli posteriori, e spiegano l'immenso e non mai cessato favore che i potenti non isdegnarono di accordare ai lavori di Grozio e dei suoi discepoli ».

§ 70. E posto che parlo del Seldeno non posso passarmi dal dire come egli abbia scritto un trattato che intitolò: De jure naturali et gentium juxta disciplinam Hebreorum. In questo trattato merita singolare attenzione il titolo che egli adottò di Diritto Naturale, in quanto che segna già un progresso per aver posto sul tappeto la questione del Diritto Naturale che i suoi predecessori Bodino e Bacone non avevano ancora toccato. Del resto quest'opera non è che una transazione fra la Teologia e la Filosofia, epperò sebbene sia stata scritta dopo la pubblicazione dell'opera di Grozio, nella cronologia della scienza dev'essere collocata prima. Il est sensible, dice Lerminier, que Selden, bien qu'il ait publié son traité après celui de Grotius, est véritablement son précurseur dans la chronologie rationelle de la science (1).

§ 71. Il Grozio pertanto, come dissi, è fondatore d'una scuola di Diritto Internazionale poggiata sul suo sistema ed ebbe non pochi seguaci. Fra questi si annoverano il Samuel Rachel, il Bentham, Gian Giacomo Moser, Giorgio Federico Martens ed altri. Troppo dovrei diffondermi se dovessi prendere ad esame partitamente le dottrine di tutti i singoli cultori della scienza del nostro diritto, nè il frutto corrisponderebbe alla fatica, dappoichè siffatta disamina meglio si conviene ai provetti nello studio che agli iniziandi, nella mente dei quali facilmente s'ingenererebbe confusione più che altro; mi limiterò quindi soltanto ai punti più salienti seguendo l'indirizzo che comunemente suole darsi alla gioventù studiosa. Dirò quindi che oltre il sistema seguìto da Grozio, altri due sistemi si sogliono distinguere, uno escogitato da Hobbes e Puffendorfio, l'altro da Wolfio e perfezionato da Vattel.

§ 72. Mentre Grozio insegna la distinzione fra il Diritto Na

(1) LERMINIER, Introduction générale à l'histoire du droit. Bruxelles, Louis Hauman, 1830, pag. 95.

turale ed il Diritto delle Genti, Hobbes e Puffendorfio poggiano il loro sistema sul principio della identità del Diritto Naturale col Diritto delle Genti, e non ammettono l'esistenza d'un Diritto delle Genti volontario o positivo. L'Hobbes nel suo trattato De Cive, dice che il Diritto Naturale si distingue in diritto naturale dell'uomo e diritto naturale degli Stati; il primo si appella propriamente Diritto Naturale, il secondo Diritto delle Genti. I precetti dell'uno e dell'altro sono gli stessi; però siccome le città una volta costituite acquistano le qualità d'una persona, così quella stessa legge che applicata agli individui chiamano naturale, applicata agli Stati ed alle Nazioni, ossia alle Genti, appellasi Diritto delle Genti (1).

Questi principii sono pienamente seguiti dal Puffendorf, così come egli stesso dichiara nel suo libro intitolato De jure naturae et gentium che pubblicò nel 1672; epperò su di essi ha fondato il suo sistema (2).

Ammesso così che il Diritto delle Genti è il Diritto Naturale, e per di più che non riconosce altra specie di diritto che abbia forza di legge ed imperi sulle Nazioni, il Puffendorfio è tratto a niegare assolutamente l'esistenza del Diritto delle Genti volontario o positivo. Ma a questo punto, accorgendosi che la sua dottrina è un poco troppo esclusiva, viene ad una transazione ed ammette l'esistenza di certe regole riferentisi agli affari della guerra fondate su di un tacito e generale consenso, le quali però cessano di essere obbligatorie sempre che uno Stato, che trovasi in una giusta guerra impegnato, dichiari di non volerle seguire.

§ 73. Questa dottrina del Puffendorf fu or lodata or biasimata a seconda del diverso modo di vedere dei giudicanti. Il Leibnitz chiama il Puffendorf poco giureconsulto e niente filosofo ; il Wheaton dice che lasciò la scienza come l'ha trovata: in

(1) HOBBES, Elementa philosophica de cive, capo XIV, n. 4 e 5.
(2) PUFFENDORF, De jure naturae et gentium, lib. II, cap. III, § 23.

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