Images de page
PDF
ePub

196

DELLA

SPROPRIAZIONE FORZATA

IN CAUSA DI PUBBLICA NECESSITÀ (*).

§. I. Punto di vista fondamentale del diritto di spropriazione in causa di pubblica necessità .

Dopo le cose esposte sulla così detta martellatura francese

e piemontese dalla pag. 179 a 195 noi siamo naturalmente condotti all'esame della legge sulla spropriazione in causa di pubblica necessità, appellata dai Francesi di utilità, emanata nel luglio 1833. Tanto nella martellatura, quanto nella detta spropriazione dei possessi territoriali si fa valere il titolo o sia la causa di pubblica necessità, malamente espressa col nome di utilità, come si fece osservare in detto articolo della martellatura. Ma questa identità di causa mossi non ci avrebbe a sindacare la detta legge del luglio 1833 se oltre molti difetti non avessimo incontrato un inverosimile rovesciamento delle leggi fondamentali, ed 'un totale obblio dei riguardi usati persino dal governo impe riale francese imputato di ingordigia di comando. Noi arditamente accusiamo quella legge di avere apertamente violate le guarentigie dell' ordinamento fondamentale delle attribuzioni, e sopraffatta la facoltà di far sentire le proprie opposizioni dagli interessati.

Gravi, noi lo confessiamo, sono questi due capi di accusa e però tanto più grave è la nostra responsabilità a provarne la imputazione nella detta legge del luglio 1833. E siccome nel tempo stesso comprendiamo che il maggior

(*) Estratto dal vol. XXXVII degli Annali Universali di Statistica.

DELLA SPROPRIAZIONE FORZATA IN CAUSA EC. 197 numero dei cultori della filosofia del diritto e della giurisprudenza mancano di quella piena e specificata dottrina che servir deve ai pratici affari, così ci troviamo obbligati di supplire tanto in via storica quanto in via giuridica al comune insegnamento, associando ai dettami positivi le vedute del diritto filosofico.

La detta legge del Luglio 1833 sulla spropriazione in causa di pubblica necessità non riguarda che il modo di esecuzione dell'art. 545 del Codice Napoleone, in cui viene statuito che « niuno può essere costretto di cedere <«<< la sua proprietà se non per causa di pubblica utilità <«<e mediante una giusta e previa indennità ». Questo è un dogma di diritto civile necessario, tanto antico, quanto i consorzi aventi nido ed abitazione stabile su di un dato territorio e tanto in addietro conosciuto in Europa, quanto riconosciuta fu la Romana legislazione non corrotta ancora dagli arbitrj di Costantinopoli. In prova della notorietà di questa osservazione leggansi i motivi sulla legge relativa alla spropriazione per causa di pubblica utilità emanata per la prima volta in Francia nell'8 marzo 1810 esposti del sig. Riboud a nome della Commissione di legislazione civile e criminale. « Se la società (dicesi in « detti motivi) deve agli individui protezione e mezzi di <<< soccorrere ai loro bisogni; gli individui dal canto loro « devono alla società il concorso delle loro forze e delle « loro facoltà per metterla in istato di adempiere alle sue « obbligazioni a questo riguardo. In sequela di questo patto reciproco, il diritto di proprietà sempre inviolabi «le, particolarmente fra i sudditi, può qualche volta cessa<<< re di esserlo fra il governo, allorquando trattasi del« l'utilità comune; perchè l'interesse della massa deve prevalere sopra quello delle frazioni. Senza questa fa«coltà i governi sarebbero impotenti nelle intraprese utili « allo stato; l'agricoltura, il commercio, l'industria non potrebbero progredire; la natura sarebbe abbandonata a << se stessa; e le risorse degli uomini diminuirebbero in vece « di aumentare. Il pericolo di un tale inconveniente in

сс

[ocr errors]

cc

<«<< dusse la necessità di derogare al diritto naturale secondo «< i diversi gradi dell' incivilimento.

Su di quest'ultima proposizione dobbiamo osservare che questa specie di deroga non è che opinata secondo l'aspetto assoluto col quale si incomincia a concepire il diritto uaturale, ma in sostanza non è nè punto nè poco reale; ed anzi invece di essere una deroga, all' opposto è una posizione necessaria dello stesso diritto naturale sociale. Certamente nel semplice ed astratto concetto a primo tratto presentato alla mente, nel quale la proprietà per regola è intangibile, si trova che una cessione, anche mediante indennità non fatta volontariamente apparisce come un'offesa del privato dominio: ma questa astratta e nuda posizione deve essere forse in pratica senza eccezione ossia senza la giunta necessitata da altre particolari esigenze? Nella astratta regola generale furono forse computati i rapporti del consorzio civile, unico stato di natura, il quale esige come condizione indispensabile certi con temperamenti e certe transazioni, dettate dalla stessa necessità della convivenza? Ecco la grande questione cardi. nale alla quale non sogliono por mente i trattatisti teorici i quali rifiutano dopo le prime concezioni di congegnar le vedute a guisa di pezzi di una macchina attiva quali sono i consorzi civili . In un oriuolo ogni costringimento alla libera evoluzione della molla centrale si oppone certamente alla forza elastica espansiva della medesima; ma senza l'evoluzione graduale operata dal concorso delle ruote, dei rocchetti e dalle vibrazioni del pendolo, forse si potrebbe ottenere il segnare delle ore? Ma dall'altra parte qual è lo scopo di tutta questa composizione? Appunto il segnar regolato delle ore.

Il vero e reale diritto civile dettato dai principj della natura consiste appunto nella segnatura delle azioni scambievoli dei cittadini non considerati isolati, ma associati, riguardanti le cinque proprietà, cioè la personale, la reale la morale, la famigliare e la sociale. Ciò esige necessariamente un contemperamento della astratta idea della individuale proprietà, talmentechè senza di questo contempera

mento non esiste nè punto nè poco diritto civile, ma unicamente una somma di facoltà egoiste, selvaggie e che fanno man bassa su tutte le dottrine e pervertiscono ogni equa e provvida legislazione.

Io non potrò inculcare mai abbastanza questa idea, la sola giusta, la sola santamente sanzionata dai buoni codici e la sola che non sembra ancor compresa, e senza della quale si bestemmia ciò che si ignora. A tutti coloro che mancano di quest' idea normale io griderò sempre, voi ignorate la vera e filosofica definizione del diritto civile di ragione, e l'ignorerete sempre mai fino a che al preteso vostro naturale diritto non associerete quello del contemperamento, dal quale risulti l'effetto finale del vero tornaconto comune, indotto dalle necessisà sì permanenti che successive del sociale consorzio. Senza questo punto di vista come potreste voi giustificare e circoscrivere il diritto delle pubbliche contribuzioni?

Posta questa idea complessiva ed irrecusabile del reale diritto civile non fabbricato dall' uomo, ma indotto dai rapporti reali e naturali della natura, quale sarà il vero punto di vista sotto del quale assumere si deve il diritto ed il rispettivo dovere di spropriazione in causa di pubblica necessità? Rispondo che siffatta sproporzione riguardare si dovrà come un' emanazione semplice e diretta della ra· gione sociale naturale applicata all'inevitabile bisogno, sia di allontanare un male pubblico, sia di apportare un soccorso pubblico necessario.

A queste due specie di casi riduconsi i titoli ossia le cause costituenti quella che appellammo NECESSITA' DI PROVVIDENZA, a verificar la quale in atto pratico è necessaria la NECESSITA' DI SCELTA di un dato fondo, onde effettuare, sia la difesa, sia il soccorso di ragion pubblica, determinato dalla prepotente forza delle cose.

§. II. Cenno storico sulla cognizione e l'uso del diritto di spropriazione in cause di pubblica utilità, rispetto alla Francia.

Rettificata l'idea della pretesa deroga del diritto naturale volgarmente concepito, giova di qui richiamare in via di cenno storico quanto fu anticamente praticato rispetto al dogma della spropriazione in causa di pubblica utilità, previa indennizzazione. Il detto Relatore sulla legge del 1810, servirà per quanto basta alla presente compendiosa Memoria. Esso ci informa delle cose della Francia, noi soggiungeremo in seguito quanto fu riconosciuto nella nostra Italia. Nelle società vicine alla barbarie, all' ignoranza o alla servitù, ( egli dice ) l'abbandono della proprietà particolare non dovette essere che un atto di sommissione alla forza ; l'idea di accompaguare quest' abbandono con un compenso non potè introdursi che successivamente, coi principj di una legislazione più conforme alla ragione ed alla giustizia.

e

Sarebbe oggetto più di curiosità che di utilità quello di ricercare se presso i popoli antichi, i più distinti per i loro lavori e per i loro edifici pubblici, i proprietari fossero indennizzati dei sacrifici necessariamente frequenti che esigeva l'esecuzione di tante opere, le di cui vestigia eccitano ancora la nostra ammirazione (1). Parimenti in vano si tenterebbe di scoprire ciò che praticavasi su di questo particolare nella prima età della monarchia francese, e sotto il regime feudale. In quei tempi ne' quali le sovranità erano tanto suddivise, ciascun capo doveva naturalmente occuparsi piuttosto ad assicurare ed isolare il suo territorio che a stabilire mezzi di comunicazione coll'estero, o di attiva prosperità nell' interno (2) .

(1) A schiarimento di questo punto rispetto ai Romani veggasi il seguente paragrafo.

(2) Si noti che il capo feudale, le chiese ed i monasteri erano considerati come i soli proprietari.

« PrécédentContinuer »