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suoi ghiacci e colle sue slitte trainate da' cani: tutto ci pon dinanzi in tal guisa che la sua narrazione non ha riscontro in verun altro scrittore..

Marco Polo e i suoi seguaci portando l' arti di lontane contrade nelle lor patrie, e ricambiando cognizioni ed industrie tra i popoli più disparati, operavano, senza pur avvedersene, un traffico di lunga mano più vantaggioso, che non quello de' soli prodotti. Si cominciarono a conoscere costumanze straniere, regioni inesplorate, credenze ed idiomi diversi la geografia spiccò voli lontani; e gli Europei, ristretti dopo la caduta dell'impero romano, in troppo angusti confini, videro aprirsi un mondo dal lato d'oriente, in attesa di quel giorno in cui Cristoforo Colombo, andando in traccia del Cipango di Marco Polo, dovrà aggiungere un nuovo emisfero all'antico.

Ai viaggiatori italiani siamo altresì debitori d'aver recato e diffuso tra noi le cifre arabiche e le matematiche. Già notammo come Silvestro II avesse fatto primamente conoscere quel sistema di numerazione fondato sul valore di posizione delle cifre, ch' egli aveva attinto alla scuola degli Arabi. Imperocchè questi popoli erano corsi assai innanzi anche in questa ragione di studi, specie nella analisi algebrica chè i trattati di Brahmyupta e di Bhasura Achaya, dettati il primo nel VII secolo e il secondo nel XII, n’aveano in mirabile guisa allargato i confini. Arroge la trigonometria che Albategni di tanto avanzava col sostituire i seni alle corde, non che la trigonometria sferica, ch' egli e Geber ed Ebn-Iounis seppero arricchire di nuovi problemi. In Italia già avea recato qualche nozione dell' algebra quel Platone da Tivoli che volse dall' ebraico un trattato di geometria pratica del Savasorda. Ma il sommo della gloria è do

vuto a quel Leonardo Fibonacci, che figlio di un cancelliere pisano addetto alla dogana di Bugia in Africa, divulgò primamente queste discipline col suo Abbacus, e le rese famigliari in Europa (1212).

CAPO XIV.

L'INNOGRAFIA CRISTIANA

SOMMARIO.

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Il tempio, scuola di poesia popolare Gl' inni sacri La poesia metrica e la sillabica La Chiesa addotta quest' ultima, come più rispondente all' indole del popolo

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I primi

S. Ambrogio creatore

Gl' innografi de' bassi tempi

della melopea sacra
diversi Del canto liturgico
leporeambica e le stanze
secolo XVII.

Inni Versi leonini La poesia L'emendazione degli inni nel

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Il santuario fu in ogni tempo e in ogni dove la prima scuola della poesia popolare. L'uso de' canti nel tempio risale, per tacer degli antichi, alle origini stesse del cristianesimo, e S. Paolo nella epistola V." lo consiglia agli Efesii. I Santi Padri, massime Eusebio e Origene, ricordano le salmodie religiose che i psaltæ o cantores intuonavano, e le turbe devote che tenean loro bordone. Il fascino che questi canti echeggiati sotto le misteriose vôlte de' tempî eserci

E. CELESIA. Storia della Letterat. in Italia.

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tavano ne' cuori, era di tale efficacia da avvantaggiarne la fede, e S. Agostino rammenta le voluttà celestiali che i sacri inni in lui risvegliavano, come rammenta le lagrime, che i miserandi casi di Didone gli avean fatto versare.

Eppur le salmodie religiose dei secoli cristiani caddero in profondo discredito, e vennero sfatate di guisa, che il cardinale Pitra nella prefazione del suo Spicilegium Solismense è tratto ad esclamare infausta, pene dicam iniqua litterarum christianarum fortuna. — Anche il Leyser, cui dobbiamo una storia della poesia latina ne' secoli di mezzo, rompe nello stesso lamento. E noi pure uniamo la nostra voce di protestazione contro si ingiusto giudizio, che pone in fondo una poesia, la quale per oltre mille anni tenne lo scettro dell' arte, e che figlia genuina del-l'animo e psicologicamente collegata a quanto di più intimo ferve ne' cuori, interpreta i nostri slanci, i nostri dolori, le nostre speranze immortali. E quale popolarità può ragguagliarsi a quella degli inni sacri, che suonano tuttavia su migliaia di labbra e fan battere migliaia di cuori?

Di questi inni resta a noi tal dovizia, a petto a cui la profana poesia nulla ha da contraporre, come ne rendono testimonianza le vaste raccolte del Fabrizio, del Du Méril e del Mone. In essi il sentimento cristiano apre il campo ad un nuovo genere di letteratura, che man mano scostandosi dalla metrica antica fondata sopra un particolare artificio, cioè sulla misura dei piedi, cominciò ad accogliere la doppia legge del metro e delle assonanze, preparando la radicale trasformazione della lirica sacra, cioè il passaggio della poesia metrica ossia quantitativa alla sillabica.

Giova chiarire con qualche larghezza il nostro concetto. Non v' ha dubbio che la poesia de' prischi Itali fu affatto ritmica ossia accentuata e tal si mostra ne' carmi arvali, deprecatorî, medici, magici, nonchè nelle convivali canzoni e ne' versi fescennini, che diceansi battendo l'accento col piede, senza accompagnamento di note musicali. Questo genere di verseggiare, chiamato saturnio, fu posto primamente in bando da Ennio, il quale introdusse nel Lazio i metri dattilici, e con essi una armonia fittizia, arbitraria, nè consentanea all' indole della lingua laziare, poichè non preoccupandosi della vera pronuncia, tutta si fonda sulle convenienze accidentali del metro, e di non so quali analogie co' greci modelli, di guisa, scrive dottamente il Cantù che il tono cadea spesso sulle brevi, e gran numero delle sillabe rimaneano comuni, cioè incerte. Tutta artificiale essendo tal melopea, la quantità diveniva facilmente corruttibile, e per quanto i poeti cercassero aumentare l'armonia de' loro versi col sottomettere a un ordine sistematico i piedi liberi, cioè determinare la successione dei dattili e degli spondei, o prefiggere il posto delle censure e fin la lunghezza delle parole, l'armonia fra i Romani non acquistò tampoco la forza d' un'abitudine. Quando poi la pronuncia restò unica signora della lingua, essa ricondusse le convenzionali differenze ad una qual si fosse uniformità dedotta dall'accento e i poeti dapprima variarono ad arbitrio le regole prosodiache, poi confessarono ignorarle, e sul tipo dell'antico esametro congegnarono versi che non teneano punto alla melopea antica. - Quando infine la classica gentilezza venne declinando del tutto, le forme nazionali ed indigene risollevarono il capo e ritornarono a mostrarsi, massime fra i poeti cristiani,

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