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esso quella conformità col testo latino, che al primo aspetto sembra nel vero mancargli, abbiano il medesimo volgarizzamento creduto opera di pianta ideata da Dante. E di qui per avventura, che nella copia stampata, qui sopra detta, vi fu falsamente posto in fronte il seguente titolo: Li sette Salmi penitenziali, che fece Dante stando in pena. Ma se sieno essi una semplice versione, e quale essi sieno, e con qual fondo fatta, il vedrà il leggitore medesimo da sè stesso: al qual effetto ho io voluto qui a bello studio apporvi di rincontro il testo latino della Volgata.

Questo immortale Poeta, che fu pieno di religione e di fede davanti a Dio, molte altre divote cose trasportò al suo modo alla volgar poesia, che si sono dagl' impressori neglette, e lasciate nelle prime antiche edizioni a consumarsi dal tempo, e a disperdersi. Queste però quasi comunemente dimenticate, o sconosciute, voglio io qui soggiungere a questa traduzione de' Salmi: onde tra tanta copia di libricciuoli spirituali, de' quali per uso delle persone divote è ripieno il mondo, uno ancora ce n'abbia in rime, che gradir possa giustamente a' poeti, e servir loro con frutto. Nè migliori o più grate cose saprei io lor metter davanti, che quelle, che o il maestro dell'orazione Gesù Cristo c'insegnò, o il divino suo Spirito suggeri alla Chiesa sua sposa. Esse volgarizzate in versi dal nostro Alighieri si trovano dopo il divino suo Poema nell' edizione fatta in Venezia per lo Spira nel 1477, coi comenti supposti di Benvenuto da Imola; e in quella fatta in Milano per Lodovico e Alberto Piemontesi nel 1478 coi comenti supposti del Terzago, amendue in foglio: donde io le ho qui tratte, con mutar loro precisamente nell' usitata la vecchia ortografia. Il titolo, ch' ivi portano è: Il Credo di Dante; volendo dire, ch' esse erano come la profession della fede, o sia l' epilogo di quel che Dante credeva. E al medesimo effetto servir esse potranno altresì in oggi a' poeti: onde ogni di recitandole, fia perciò noto agli altri la lor religione qual sia.

Finalmente per agevolare l'intelligenza di tutte queste rime alle persone meno ancora intendenti, ho giudicato di accompagnarle con alcune annotazioni, altre delle quali sieno come teologiche, ed altre gramaticali. La condotta de' Salmi, e molti lor sensi non si sarebbono per una parte da tutti

1 A queste annotazioni del Quadrio abbiamo talvolta fatto seguire qualche nostra parola, sia per dichiarar meglio il senso delle voci e delle frasi dall' autore adoperate, sia per

modificare l'esprèssione dell' annotatore. E perchè le nostre parole potessero distintamente ravvisarsi, le abbiamo incluse fra parentesi quadre.

agevolmente senza esse penetrati; e varie espressioni per l'altra, e varie licenze e parole dal volgarizzatore usate nella sua versione, avrebbon potuto, altre oscurarne l' intendimento, altre avvilirne la stima. Perciò, affinchè niun ostacolo si attraversasse alla divozione di chiunque di queste rime valer si volesse con animo cristiano e divoto, io ho riputato pregio dell' opera il giuntarvi questa fatica.

I SETTE SALMI PENITENZIALI

TRASPORTATI ALLA VOLGAR POESIA.

SALMO I.

I. Signor, non mi riprender con furore,
E non voler correggermi con ira,
Ma con dolcezza e con perfetto amore.1
Io son ben certo, che ragion ti tira
Ad esser giusto contro a' peccatori ;
Ma pur benigno sei a chi sospira.2
II. Aggi pietate de' miei gravi errori :

3

Però ch' io sono debile ed infermo,

Ed ho perduti tutti i miei vigori.“

I. Domine, ne in furore tuo arguas me: neque in ira tua corripias me.

II. Miserere mei, Domine, quoniam infirmus sum: sana me, Domine, quoniam conturbata sunt ossa mca.

1 Cioè, con puro amore scevero d'ogni collera. Correggimi, non come nimico, lasciandomi per vendet. ta trascinare alle mie passioni; ma come padre, per emendare semplicemente in me la mia colpa.

2 Cioè, a chi sospira per vera con. trizione di cuore, e per desiderio sincero di tornare a Dio: perchè non ogni sospiro è sufficiente a conciliarIci la divina misericordia.

[Nota sospirare in senso di pentirsi

sospirando, pentirsi ne' sospiri. Cosi nel sonetto XI disse: E d'ogni suo difetto allor sospira.]

3 Lo stesso che abbi; e lo scambiamento del b nel g non è infrequente nella lingua italiana; come è chiaro da molte altre parole, quali sono debbia, gabbia, subbietto ec. che si voltarono spesso in deggia, gaggia, suggello ec.

4 tutti i miei vigori, cioè, tutte le mie forze; e intende delle spirituali,

Difendimi, o Signor, dallo gran vermo,'
E sanami, imperò ch'io non ho osso,

3

1

Che conturbato possa omai star fermo.2 III. E per lo cargo grande e grave e grosso, L'anima mia è tanto conturbata,

Che senza lo tuo aiuto io più non posso.

III. Et anima mea turbata est valde: sed tu, Domine, usquequo ?

perchè per la colpa mortale si perdono in fatti tutti gli abiti soprannaturali, produttivi degli atti meritorii della grazia, non rimanendo più nel peccatore, che una fede morta e una fredda speranza.

1 vermo, invece di verme, per cagion della rima: il che usò questo Poeta altresì nella Cantica dell' Inferno, canto VI, v. 22; canto XXIX, v. 61; canto XXXIV, v. 108. E per gran vermo intende egli il gran dragone, come si dice nell' Apocalisse (cap. XII, n. 9): il serpente antico, che è chiamato Diavolo, il quale seduce tutto il mondo ec.

[Vermo per verme non è detto punto per cagion della rima; ma perchè così dicevano gli antichi, e così dicono i moderni, dicendosi anco stile e stilo, confine e confino, sentiere e sentiero, declive e declivo, alpestre e alpestro ec. In generale molti de' nomi mascolini derivati da' latini della terza declinazione, i nostri antichi li terminavano in e ed in o. Vedi Nannucci, Teorica de' Nomi, Firenze 1817.]

2 Dante ha nell' interpretazione dell' ultimo senso di questo secondo versetto, seguitato il testo ebraico, che così dice: E le mie ossa son divenute tremanti; come che poeticamente abbia egli ciò espresso, dicendo, che non ha osso, che possa star fermo.

[Così nell' Inf., canto VI, v. 24: Non avea membro che tenesse fermo.] 3 Cosi trovo in questa traduzione costantemente stampato, cioè cargo invece di carco; discarghi invece di discarchi ec. Nè si può ciò attribuire

a errore dell' amanuense 0 della stampa: poichè del contrario ci fanno fede le parole compagne di rima, usate nell'interpretazione del terzo Salmo, che sono letargo e largo. Gli Spagnoli dicono cargar e cargo, e i Francesi charger e charge. Per avventura anche a Dante piacque più cargare e cargo (come usan dire i Lombardi) che il toscano carcare e carco. Gli etimologisti derivano la detta voce dal carrus de' Latini corrotto dal currus: onde a' barbari tempi venne il latino carricare, per aggravare. Così il Pseudo-Jeronimo (De XII Script. Eccles.), parlando d' Origene, lasciò scritto: Oneribus majoribus carricabat se. Ma se derivata fosse la detta voce da carrus, avrebbe dovuto scriversi carricare costantemente con doppia r. Potrebbe per avventura più tosto esser la medesima originata da' popoli della Caria, i quali avevano per lor peculiare mestiero di fare il facchino. E i servi erano appunto da' Greci chiamati cari: onde dicevano nelle lor feste florali: fuori i cari per fuori i famigli; e all' usanza carica era un proverbio appo i medesimi, col quale volevano dire all' usanza facchinesca, cioè, incivile e impropria: del che si può leggere Erasmo (Adag. Chil., pag. 25 e 969). Onde da cari, carcare forse all'Italia è venuto; e cargar alla Spagna; siccome dal greco botarica s'è fatto tra noi botarga, e dal greco macara s'è fatto magura, e così discorrendo: moltissime essendo le voci greche, che noi abbiamo, dove la k in g è mutata.

IV. Aiutami, o Signor, tutta fiata:1

Convertimi al ben fare presto presto :
Cavami l'alma fuor delle peccata.3
Non esser contra me così molesto,"

Ma salvami per tua misericordia,

2

Che sempre allegra il tristo core e mesto:
V. Perchè, se meco qui non fai concordia,
Chi è colui, che di te si ricorde

In morte, dove è loco di discordia?

IV. Convertere, Domine, et eripe animam meam : salvum me fac propter misericordiam tuam.

V. Quoniam non est in morte qui memor sit tui: in Inferno autem quis confitebilur tibi?

1 fiata è voce trisillaba, come derivata dal verbo fiat de Latini: nè si è fatta bisillaba mai, che per larga licenza. Tutta fiata vale poi il medesimo che continuamente, con assiduità, sempre più, o simil cosa. Così il Boccaccio (Giorn. II, nov. 7): Quella non cessando, ma crescendo tutta fiata.

2 Questa replicazione dell' avverbio presto è molto ben qui locata: perciocchè dimostra la premurosissima sollecitudine, che Davide aveva di uscir del peccato.

3 I nomi sostantivi era uso antico di terminarli nel plurale alla maniera de' neutri latini, come le pugna e le coltella nel Novelliere; le castella e le munimenta nel Villani; le demonia e le peccata nel Passavanti: onde il Davanzati altresì, a cui piacque vestir le brache all' antica, volle pur dire le letta e le tetta ec.

[Il dir le letta e le tetta non è un vestir le brache all' antica, ma è all' antica e alla moderna; e con siffatta doppia terminazione abbiamo qualche centinaio di voci.]

Ottimamente usa qui Dante la voce molesto, relativamente al cargo detto di sopra: poich'essa (come osservò il Passerat) è fatta da mola, ch'era la pena de' servi, che più lor dispiaceva; e vuol dire: non siate contra me si cruccioso (fâcheux di

rebbe

un Francese) di lasciarmi più a lungo sotto il peso de' miei peccati ec.

5 Di questo stesso argomento si valse poi anche Ezechia (Isaiæ, cap. 38, v. 18): Perciocchè l'Inferno, diceva questi, non darà gloria a te: nè la morte loderà te: quelli, che scendono nel lago, non ispereranno nella tua verità.

6 si ricorde, invece di si ricordi: licenza usata in grazia della rima non pur da Dante, ma dal Petrarca eziandio, che così scrisse: Che convien, ch' altri impare alle sue spese. (nella canz.: Mai non vo' più cantar) invece di impari.

[Neppur questa è licenza usata in grazia della rima, perciocchè nelle voci del pres. del congiuntivo per esempio tu ames, ille amet, attenendosi gli antichi alla terminazione latina, facevano tu ame, egli ame.]

7 Intende dell' eterna morte; poichè nella morte naturale le anime, separatesi dai loro corpi in grazia di Dio, seguitano ad amar lui e a lodarlo. E l'interpretare, che alcuni han fatto, il Profeta, come se avesse parlato della semplice natural morte considerando qui solo i corpi da se nel sepolcro disanimati, è una stiracchiatura e scipitezza assai frivola.

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