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PREFAZIONE

Uno dei mezzi più efficaci e d'un effetto più generale, particolarmente nelle nostre circostanze, per propagare una lingua, è, come tutti sanno, un vocabolario.

A. MANZONI. Dell'Unità della Lingua e dei Mezzi di diffonderla.

Parmi che giovi al comune linguaggio d'Italia chiunque si prenda pensiero di raccogliere le voci e le locuzioni de' suoi cento differenti dialetti, sì perchè può contribuire ad arricchirne il parlare, sì perchè quelle voci e locuzioni portano seco l'impronto originale e manifesto della derivazione loro e servono grandemente a conoscere la fonte, alla quale esse furono attinte, e a rettificarne le etimologie.

Ma certamente giova una tale raccolta di dialetti a salvarne la integrità fi ionomica da una rivoluzione che sta per isvisarne loro i tipi. Ci corre però l'obbligo di affrettarci a interrogare nelle fucine, nei campi, entro alle valli, pei monti, e scriverne le voci e le locuzioni per consegnarle alla posterità tali e quali i cittadini, i campagnuoli, i montagnardi le parlano.

Causa di tale rivoluzione sono il vapore e la libertà e unità d'Italia. Atterrate una volta le barriere che sorgevano

Fra l'Italia e l'Italia,

per il rimescolarsi delle genti del bel paese, si confonderanno gli uni vernacoli cogli altri, sì che i Lombardi, per esempio, perderanno il loro impronto, poichè an dranno a svisarsi e fondersi coi pedemontani, e quelli e questi cogli emiliani, e così dici degli altri. Fatto che già accade vedere nelle fucine.

Allo importantissimo studio dei dialetti si è atteso da pochi anni a oggi con tale assennata operosità, e massimamente dal nostro Cherubini (1) e dal Biondelli, che oramai tutte le provincie lombarde hanno il proprio vernacolo vocabolario, tranne Lodi (2).

Milano ha il copiosissimo del Cherubini; ma perchè tornano troppo a disagio que' suoi cinque grossi volumi, tolsi a dar fuori per la stampa la terza edizione del mio Vocabolario Milanese Italiano coll' intendimento di ajutare i giovani a voltare il nostro dialetto nella lingua nazionale attinta, per quanto si può potuto io, a Firenze.

ho

Esso uscirà accresciuto ben del doppio di quello della seconda edizione. Il mio andar frugone nelle fucine, e d'autunno nella campagna mi procurò voci e locuzioni vernacole non poche o sfuggite al mio maestro e a me, o náte di fresco, o introdotte di recente in un con certe arti e industrie.

Le opere del Carena, del Fanfani (3), del Thouar, del Palma, del Gardi, del Giusti, del Tommaseo e di altri, mi diedero molte voci corrispondenti alle nostre vernacole che prima non sapevo. Di altre non si leggerà che la definizione, perchè invano chiesi ajuto a vari Fiorentini, i quali non saviamente si fanno avari dí una eredità che non è di Firenze solamente, nè della Toscana, ma d'Italia tutta. Anzi, ci duole il dirlo, pare che coloro di mal occhio vedano che i non Fiorentini si occupino della lingua nazionale per farla diffusa a tutta

la patria, giacchè pregati per lettera o non rispondono, o se sì, vengono poi meno alla promessa (4); e se danno fuori un Vocabolario non lo arricchiscono delle fatiche durate nelle loro terre da un Carena, da un Tommaseo, da un Palma, e via. Ma c'è di più. In quel Vocabolario invano cerchi le voci che leggi negli scritti dei Fiorentini stessi, come di un Thouar, di un Lambruschini, di un Giusti, per dirne tre. Staremo a vedere il Nuovo Vocabolario della lingua italiana del prof. Giorgini; perchè quel po' che or ora è uscito non mi sa di nulla, per dirla con Ghita la setajuola.

Sapete invece chi m'ha ajutato, e a cui sarò sempre gratissimo? L'illustre C. Cantù, in un momento ch'e' si trovava a Firenze.... « Bisogna esser qua, mi scrisse inoltre, per vedere come la teorica svaghi dalla pratica; e come poco si possa applicare il sistema di adottar solo quel che si dice in Firenze. Sono incerti essi medesimi, e han voci diverse agli oggetti identici. Non parlo poi della campagna, chè la Maremma, il Casentino, il Valdarno, il Val di Nievolo usan nomi affatto varj. Per E. colla sua lista alla mano, chiesi a un colto signore di qua come si chiama lo specchio che sta sopra il camino R. Specchio o Specchiera E non caminiera? R. O no; cotesto nome si dà a quella cassetta elegante che si tien presso al camino per la legna Vo da una signorina, e le mostro a dito lo specchio, e le chiedo come lo chiami R. Caminiera Oh come? ma la caminiera non è cotesta cassa? R. Che che? e rideva. Questa è la paniera o la cassa della legna Or va e accozza.... E dopo avermi posto a fianco di molte voci milanesi la corrispondente fiorentina.... Ma per farcisi bisognerebbe esser qua proprio. Una servente che mi rifà la camera, dicea che l'altro giorno

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la padrona le fece una parrucca (una lavata di capo) Le chiedevo perchè avesse legati i polsi, rispose che ha freddo perchè rigoverna. E stavo così bene a

casa mia, dove i miei fratelli mi facevano il circon dino. E mi narrava d'un suo fratellino che s'è ammencito (avvizzito). Di questi lecchezzi potrebbe rac cogliersene tutti i giorni, chi stesse col popolo e colla gente che sulle gazzette non perde nè il buon pen sare, nè il ben parlare. E di questi gingilli son pien il Giuliani, il Bresciani, ecc.; ma quel che importa d vedere e studiare qui è il giuoco della frase, e la felice concisione, è la spigliatezza degli ausiliarj, dei dovere, potere, ecc., e questa non si trascrive e non s'insegna. I saluti. »

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Firenze deve però fissarsi per il luogo ove tutti dobbiamo attignere la lingua nazionale e se vi han voci diverse agli oggetti identici, scelgansi per la lingua quelle che sono le più usitate. Lavoro arduo (5) ma effettuabile. Da questo luogo i sommi scrittori, da Dante al nostro Alessandro Manzoni, hanno tolto, chi non lo sa?

Lo bello stile che loro fece onore.

Ma v'è un'altra osservazione. Tutto che si pensa e si dice nelle altre città, non si pensa e si dice a Firenze dove manca l'oggetto, ne manca il nome. A Firenze dicono la pampara, il panetone, il risotto in cagnone, la bonza, il bosino, la bosinata dei Milanesi, il pan spe ziä dei Bolognesi, la resta dei Cremaschi, il brizzolà e lo sbovarinar dei Mantovani, la pistola dei Romani, la sluzza o slussa dei Pavesi, il bussolà dei Bresciani, le amarette di Saronno, la fasolada e il nosetto dei Cremonesi, la facci di vecchia dei Siciliani, il ghiringhell, la giubbianna, il masigott del Milanese, il tir

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