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PREFAZIONE

epopea francese va riprendendo negli studi il posto perduto nella vita e nell' arte. Orlando, dopo aver prima ispirato nobili sentimenti e quindi trastullato le fantasie, dopo aver fatto piangere, dopo aver fatto ridere, adesso fa pensare. Un fenomeno così meravigliosamente durevole, vasto, molteplice, quale ci sta dinanzi in questa epopea, è certamente degno d'essere scrutato e nel suo complesso e in ogni sua parte.

Però, il leggere in fronte ad un volume, di dimensioni anche più che rispettabili, il titolo che sta scritto su questo mio, non sarà adesso per tutti cagione di meraviglia. Si capisce che il soggetto possa dar materia ad un libro; e si capisce altresì che il cercarvela non sia cosa vana. Che vana non sia, non dipende già tanto da un motivo analogo a quello che porta a raccogliere con interesse anche le prime notizie di chi dovrà poi diventare un uomo famoso. Gli è che nell' osservazione minuta noi andiamo adesso rintracciando quei criterii, quelle idee, quelle leggi, che un tempo la mente era solita fabbricare dentro di sè, pretendendo poi d'imporre i suoi moduli al mondo reale. Quindi, ricercare le Origini

dell'Epopea Francese significa indagare la storia di un'in-
finità di cose, agitare una moltitudine di problemi im-
portanti. E basterebbe la parola Origini, che racchiude
tanta parte delle nostre curiosità moderne, a giustificare
anche un'opera di maggior mole che questa.

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La quale si è ridotta com'è ora attraverso a parecchie
metamorfosi e a graduati accrescimenti. Cominciò dal-
l'essere una serie di lezioni episodiche, inserite nella
primavera del 1877 in un corso di letteratura provenzale.
Un anno e mezzo più tardi diventò un corso intero,
sebbene l'intenzione nel mettersi in via fosse soltanto
di fare un proemio alla storia del romanzo cavalleresco
in Italia. Il corso s'accrebbe di nuovo per essere pre-
sentato manoscritto alla gara per uno dei premii
istituiti dalla munificenza del Re, che si conferiscono
dall' Accademia dei Lincei. Nella gara queste Origini
parvero alla Commissione, relatore l'Ascoli, vincere gli
altri lavori coi quali si trovavan competere; 2 e il premio
fu assegnato ad esse. Ma nè i giudici le ritennero scevre
di gravi mende, nè davvero le credeva tali l'autore.
Quindi il dovere di ritornarci ancor sopra, avanti di pub-
blicarle, con cresciuta alacrità. E il ritornarci sopra finì
per essere un aggiungere, togliere, rimutare in misura
siffatta, da rendere il libro ben diverso da quello che
ebbe il premio. L'autore spera di averlo migliorato con-
siderevolmente; potrebbe darsi invece gli esempi sono
molti che l'avesse nella somma peggiorato.

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La forma attuale subirebbe nuovi cambiamenti, se il
lavoro continuasse a restare nelle mie mani; e già anche

1 Insieme coll'Ascoli componevano la Commissione i sigg. socî Amari, Com-
paretti, Fabretti, Flechia, Guidi e Valenziani.

* La Relazione, letta nella seduta del 19 dicembre 1880, fu pubblicata negli
Atti dell' Accademia, Serie 3a, Transunti, vol. V, pag. 90. Riprodusse il giudizio
sulle Origini la Romania, X, 453.

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adesso, compiuta appena la stampa sentirei il desiderio
di molti ritocchi. Ci sono perfino certi punti affatto
secondarii, s'intende in cui, se non ho mutato pro-
priamente di parere, mi trovo peraltro titubare non poco.
Ma a tutto ci ha da essere un limite; e di venir mai a
un segno dove mi potessi dichiarar contento, ho abban-
donato da un pezzo ogni speranza.

E qui io fo una distinzione. C'è dei compiti a cui
un uomo può bastare da solo. E allora deve saper
bastare; ed è riprovevole impazienza il presentare al pub-
blico l'opera propria non giunta a piena maturità. Così
una cattiva edizione di uno scrittore, soprattutto secon-
dario, è un peccato grave addirittura, specialmente per-
chè chiude per del tempo la via ad un meglio, a cui
s' avrebbe diritto.

Ma altri lavori sono d'indole affatto opposta. Per
quanto uno s'adoperi, mediti, raccolga, non potrà mai
tutto conoscere e vedere. È sterminato il dominio: ab-
braccia la giurisdizione di parecchi signori. Nè si tratta
solo di percorrere, ma propriamente di scrutare e sco-
prire; e le scoperte, piccole o grandi, non si possono
fare quando si vuole. Spesso si devono al caso; più
spesso nascono da una serie di associazioni ideali, a
cui s'è condotti dal giro particolare che il pensiero si
trova seguire in un determinato momento. E poi, la parte
del ragionamento è così considerevole, che disparità di
opinioni sono inevitabili, e l'equilibrio perfetto non si può
produrre altro che dopo lunghe oscillazioni. E bisogna
che lavoratori diversi per studi, natura d'ingegno, per-
fino per temperamento, s'affaccendino dattorno al sog-
getto, e vi portino ciascuno il proprio contributo.

Tale è appunto il caso mio; e per questo, provo bensì
un gran turbamento, ma punto rimorso nell' affrontare
il pubblico giudizio. D'altronde, mentre tra le cose dette da

me ha larga parte la congettura, e per conseguenza
l'errore, nella sostanza sono fermamente convinto di
avere ragione. Alle semplici congetture, si avverta bene,
non ho attribuito mai il valore di verità assodate; quindi,
numerose fin che si vuole (sarebbero potute esser meno,
se non fosse stata una smania, che confesso eccessiva,
di voler capir tutto, determinar tutto), esse non hanno
certo falsato le somme.

E vi sono più cose che mi danno fiducia. Comincia
dall' inspirarmene la considerazione che, per quanto io
abbia continuato a scavare all'intorno, i pilastri del mio
edificio, nonchè non smuoversi punto, mi sono apparsi
ogni giorno più saldamente impiantati. E posso dire in
piena coscienza di non aver fatto nulla per puntellarli
artificiosamente; anzi, mi affrettai sempre ad abbattere
anche i puntelli che si potevano già dir messi a posto
da altri. Cito un esempio. Che la Chanson de Roland
sia venuta a innalzarsi sulle fondamenta di un poema
che cantasse la morte di Arimberto e dei compagni suoi
al tempo di re Dagoberto, è cosa generalmente am-
messa, e tale da giovarsene una delle asserzioni capi-
tali del mio libro, cioè la continuità dell' epopea mero-
vingia e carolingia. Ma a me l'idea pare un'illusione,
o poco più; e però mi guardo bene dal valermene neppur
sotto condizione.1

Un altro motivo di fiducia mi viene dai rapporti che
corrono tra l'esposizione mia e le opinioni manifestate
finora intorno al soggetto. Quanti discorsero, o in breve
o in lungo, delle origini dell' epopea francese, possono
essere sicuri che su qualche punto il mio libro darà loro
ragione. Come sostenitore dell' origine germanica, io sono
col d'Héricault, col Bartsch, col Gautier d'un tempo, e

1 V. pag. 238, n. 2.

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